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La pila(batteria) di Baghdad, Elettricità dal passato

Ultimo Aggiornamento: 10/05/2012 13:41
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Con il termine Batteria di Baghdad si indica un manufatto creato durante la dinastia dei Parti, in Persia, e probabilmente scoperto nel 1936 vicino al villaggio di Khujut Rabu, presso Baghdad, Iraq. L'oggetto divenne noto all'opinione pubblica solo nel 1938, quando Wilhelm König, direttore tedesco del Museo Nazionale dell'Iraq, lo trovò nella collezione dell'ente da lui diretto. Nel 1940, dopo essere ritornato a Berlino, diede alle stampe un libercolo sul quale proponeva la tesi secondo la quale il manufatto in questione poteva essere stato una cella galvanica utilizzata per placcare di oro oggetti in argento.

Datazione e descrizione
Il manufatto consiste in una giara in terracotta di circa 130mm di altezza contenente un cilindro di rame, ottenuto arrotolando un sottile foglio dello stesso materiale, il quale a sua volta conteneva una singola barra in ferro, la quale era isolata dal cilindro tramite un tappo di asfalto. Il cilindro non era a tenuta stagna, e questo permetteva alla soluzione elettrolita di giungere a contatto con la barra di ferro. Il livello di corrosione dei componenti interni ha portato alcuni studiosi a supporre che come soluzione elettrolitica si sia potuto utilizzare aceto, succo di limone o succo d'uva.

König suppose che l'oggetto potesse essere stato costruito durante il dominio dei Parti, in quanto la porzione del villaggio sottoposta a scavi archeologici risaliva appunto a quel periodo (250 a.C. - 224 d.C.). Tuttavia secondo il dottor St. John Simpson, del dipartimento del Vicino Oriente del British Museum, il contesto originale del sito e la sua stratigrafia non furono registrati in maniera corretta; in più lo stile della ceramica è Sassanide (224 - 640). Tutto questo porta Simpson a supporre una datazione più recente.

La maggior parte dei componenti della batteria non è direttamente databile. La ceramica potrebbe essere datata tramite la termoluminescenza, ma questo indicherebbe solo la data della cottura del vaso e non il suo assemblaggio. Diversamente lo studio della diffusione degli ioni indicherebbe solo la data dell'interramento.


Speculazioni sul funzionamento

Ipotesi della batteria
Rame e ferro costituiscono una coppia elettrochimica, la quale in presenza di un elettrolita, genera una differenza di potenziale (Volt). König osservò numerosi oggetti di argento rivestiti da una sottilissima patina d'oro ritrovati nell'antico Iraq e suppose che furono placcati utilizzando batterie composte da più celle. Dopo la Seconda guerra mondiale, Willard Gray dimostrò che una riproduzione del manufatto produceva corrente elettrica se era riempito con succo d'uva. W. Jansen utilizzò al posto del succo d'uva benzoquinone (alcuni coleotteri producono naturalmente i chinoni) e aceto ottenendo risultati ancora più significativi.

Tuttavia, anche tra coloro che sono concordi nell'identificare nel manufatto una batteria, l'ipotesi dell'elettroplaccatura non gode più di molta stima. Oggi si pensa che gli oggetti dorati osservati da König siano stati placcati tramite un processo a fuoco tramite mercurio. Test eseguiti dal Dr. Arne Eggebrecht hanno dimostrato che per eseguire una placcatura di appena un micrometro sono necessarie "molte" celle. In conclusione la potenza generata dal manufatto sarebbe troppo bassa. Paul Keyser ipotizzò, ma non è stato finora dimostrato, che un sacerdote potesse utilizzare la cella per una sorta di elettro-agopuntura o, elettrificando delle statue di metallo, stupire e meravigliare dei fedeli.

Il programma televisivo MythBusters di Discovery Channel ha dimostrato che è molto plausibile che antiche popolazioni utilizzassero il manufatto per eseguire delle placcature o per l'elettrostimolazione. Bisogna dire, però, che la potenza generata da una sola cella è risultata sempre troppo bassa, e per eseguire i vari test sono sempre state utilizzate celle collegate in serie tra loro.

Ipotesi non elettrica
Gli scettici dicono che i test e le riproduzioni eseguite dimostrano solo che era possibile realizzare una sorta di cella galvanica, non che essa sia stata realizzata realmente. Inoltre, se si intende il manufatto come una batteria, sorgono diversi problemi di interpretazione:

l'asfalto ricopre completamente il cilindro di rame e lo isola in modo tale che gli elettroni possono circolare solo se si modifica l'oggetto stesso;
il manufatto non possiede fili conduttori esterni;
Non esistono dei manufatti che potevano utilizzare per il loro funzionamento energia elettrica;
Un sigillo di asfalto è perfetto per garantire una buona chiusura nel tempo, ma sarebbe scomodo in una cella galvanica, la quale dovrebbe essere aperta di frequente per la sua manutenzione;
Alcuni osservano che l'oggetto somiglia moltissimo ad altri manufatti utilizzati per il trasporto di rotoli sacri dalla vicina Seleucia, presso il Tigri. La decomposizione dei rotoli avrebbe potuto creare un ambiente acido e intaccare così gli elementi interni.


Polemiche e confronti
Alcuni hanno affermato che questi manufatti dimostrano che l'energia elettrica era già conosciuta nell'antichità, tuttavia, anche se ormai si ammette che la "Batteria di Baghdad" era effettivamente un dispositivo elettrico, questo non comporta l'esistenza di una reale conoscenza dei fenomeni elettrici, tant'è che non migliorarono mai il loro progetto iniziale.

Chi ha costruito la "Batteria di Baghdad", e se questa era realmente una cella galvanica, potrebbe non aver compreso appieno tutti i principi fisici che la governano. Per esempio gli antichi Greci conoscevano i fenomeni elettrostatici prodotti dall'ambra, ma non compresero mai il perché del loro manifestarsi. Nei testi dei Parti ancora non sono stati individuati dei riferimenti a fenomeni elettrici nè su un loro diretto utilizzo. Potrebbe darsi che le "pile" fossero utilizzate solo in un contesto mistico.

Le "Batterie di Baghdad", se utilizzate in serie, avrebbero potuto generare una corrente importante. Per confronto i primi esperimenti eseguiti da Luigi Galvani utilizzavano celle molto simili, anche se più grandi, capaci di sviluppare ben 30 Volt.


Test sulla teoria
L'idea che la batteria potrebbe aver prodotto livelli di energia elettrica utilizzabile è stata messa alla prova almeno due volte.

Nella serie televisiva inglese "Arthur C. Clarke's Mysterious World" del 1980, l'egittologo Arne Eggebrecht utilizzò una riproduzione della batteria, piena di succo d'uva, che produsse mezzo volt di elettricità e dimostrando che avrebbe potuto placcare una statuetta di argento in due ore utilizzando una soluzione di cianuro d'oro.

Nel programma televisivo MythBusters, 29° puntata del 23 marzo 2005, furono collegate tra loro 10 "Batterie di Baghdad" costruite a mano e riempite di succo di limone come elettrolita le quali generarono 4 volt di corrente continua. La domanda che pose la trasmissione fu: "A cosa servivano queste antiche batterie?" La trasmissione diede tre possibili risposte: galvanizzazione, uso medico (elettro-agopuntura) e esperienza religiosa. In effetti il "pacco" di 10 batterie aveva abbastanza potenza da placcare un piccolo oggetto. Tramite due elettrodi a forma di ago si poteva eseguire una elettro-agopuntura, ma quando le batterie si esaurivano, la sensazione del paziente migrava verso il dolore. Per "testare" l'esperienza religiosa fu costruita una replica dell'Arca dell'alleanza completa di cherubini. Invece di collegare le ali dei cherubini alle "Batterie di Baghdad", furono collegate ad un generatore elettrico. Chi toccava l'arca sentiva un forte senso di oppressione al petto.
Anche se le "Batterie di Baghdad" non furono utilizzate, si è dedotto che la loro bassa potenza avrebbe comunque generato nei fedeli che non avevano nessuna idea di corrente elettrica e dei suoi effetti la sensazione di una "presenza divina".

FONTE: WIKIPEDIA

Nel 1936, nel corso di scavi archeologici a Kuyut Rabbou'a, vicino a Baghdad, venne rinvenuto uno strano oggetto, databile alla civiltà Parta, nel secondo secolo avanti Cristo. L'oggetto consiste in un involucro di argilla gialla, a forma di vaso allungato, delle dimensioni di una mano, con un coperchio di asfalto (fig. 1). All'interno del vaso, retto dal tappo, vi è un cilindretto di rame, lungo 9 cm e largo 26 mm, chiuso anche all'altra estremità da un tappo di asfalto e, all'interno di questo, sempre retto dal tappo esterno, vi è una barra di ferro (fig. 2). L'allora direttore del Museo Iracheno di Baghdad, Wilhelm König, notò somiglianze con contenitori di papiri ritrovati in Seleucia. La sua somiglianza esteriore con una pila a carbone/zinco (le comuni pile a "torcia") portò König ad ipotizzare che potesse trattarsi di un generatore galvanico.
Non è semplice provare o confutare l'ipotesi che si tratti veramente di una pila. In effetti questo, come qualsiasi oggetto composta da due metalli differenti, può funzionare da rudimentale pila se immerso in una soluzione acidula (fig. 3), però






in questo modo la corrente generata è minima. Non è facile ottenere una corrente di intensità ragionevole, e far sì che la pila funzioni per piu' di qualche minuto, quando i due metalli sono rame e ferro, a meno di non usare come elettrolita acidi forti, sconosciuti all'epoca.

In una pila la corrente viene generata tramite due reazioni differenti, che avvengono vicino ai due elettrodi, tra questi e opportune sostanze (elettroliti) disciolte nel liquido in cui sono immersi. Sono stati proposti vari tipi di elettroliti, basati su sostanze conosciute al tempo della "pila". Se si usa acqua acidulata o salata, questa fa solo da conduttore, permettendo le reazioni:

Fe-> Fe2+ + 2 e-O2 + 2 H2O + 4 e- -> 4 OH-

La seconda reazione avviene con l'ossigeno dell'aria disciolto nell'acqua. Pertanto in questo caso la forma chiusa della "pila" è una scelta poco felice, perchè l'ossigeno necessario si scioglie nell'acqua con difficoltà, una reticelle metalIica posta subito sotto la superfice in una bacinella avrebbe funzionato molto meglio. Essendo l'oggetto trovato da König un cilindro sigillato, avrebbe potuto funzionare solo per pochi minuti, candidati piu' promettenti sono gli oggetti simili trovati in Seleucia.

W.F.M. Gray ha provato ad utilizzare solfato di rame, e la pila riesce a funzionare bene per un breve tempo, finché l'elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Jansen et al. hanno usato benzochinone, una sostanza che si trova nelle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Tutti questi processi funzionano molto male, in quanto manca nella pila di Baghdad un meccanismo (come un setto poroso, o una gelatina) che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi. Comunque la possibilità, remota, che l'oggetto fosse effettivamente una rudimentale pila esiste, e non è al di fuori delle possibilità tecniche del tempo.

È possibile provare in casa a costruirsi una "pila di Baghdad". Sono sufficenti un pezzo di ferro, un po' di fio elettrico, un bicchiere di aceto (o di soluzione di solfato di rame), e un tester da hobbista elettronico. Collegate il pezzo di ferro ad un filo, ed immergetelo nella soluzione. Come elettrodo di rame si può utilizzare un secondo filo, spelato per un tratto di qualche centimetro. Potrete verificare personalmente che, anche se la tensione prodotta può raggiungere un volt, la corrente è molto ridotta, non più di qualche milliampere. Potrete inoltre divertirvi a sperimentare le più diverse sostanze come elettroliti.







Secondo i sostenitori della teoria, la pila sarebbe servita per produrre elettroplaccature di oro, o addirittura oggetti in galvanoplastica. Se anche la singola pila non produce una corrente o una tensione sufficiente, basterebbe metterne molte in parallelo, o in serie. Però non abbiamo nessuna evidenza archeologica di oggetti elettroplaccati, nessun reperto conosciuto mostra di essere stato dorato con tecniche galvaniche. A sostegno di questa ipotesi König cita il fatto che tra gli artigiani di Baghdad oggi è in uso una tecnica di doratura galvanica, in cui l'oggetto da dorare è immerso in una soluzione di sali cianidrici d'oro, in un vaso poroso immerso a sua volta in una soluzione di sale. La corrente necessaria viene generata dall'ossidazione di un pezzo di zinco immerso nell'acqua salata, e collegato elettricamente all'oggetto da dorare. Queta tecnica però è molto simile ad un processo brevettato nel secolo scorso in Inghilterra, di cui è probabilmente un adattamento, e contiene differenze importanti rispetto alla "pila": zinco, molto più facile da ossidare del ferro, un setto poroso tra i due elettroliti, l'uso di sali di di cianuro, sconosciuti all'epoca.

D'altro lato, esistono molti indizi che portano a considerare l'oggetto un contenitore di rotoli sacri, utilizzati a scopi magici o propiziatori. Diversi metalli erano utilizzati per rappresentare divinità, ed esistono paralleli con contenitori simili usati a questo scopo. Non sono stati rinvenuti nelle sue vicinanze fili metallici o altre indicazioni di un suo uso "elettrico", e in particolare non è presente il filo che è rappresentato in buona parte delle raffigurazioni di questo oggetto, che sarebbe necessario per collegare elettricamente il cilindro di rame.

Ma anche se l'ipotesi della "pila" fosse corretta, se i Parti avessero realmente realizzato un rudimentale generatore, si tratterebbe solamente di un'altra di quelle scoperte promettenti, ma perse nel corso del tempo senza che nessuno si fosse mai accorto delle loro enormi potenzialità. Non c'è nessun bisogno di invocare influenze misteriose, da parte di Atlantidei o di extraterrestri: se davvero questi avessero voluto insegnare ai Parsi come costruire una pila, avrebbero potuto fornire un oggetto meno primitivo ed inefficente di questo.

Per saperne di più:



In rete ho potuto trovare solo siti che propongono l'ipotesi della pila come la più probabile, spesso usando come sola argomentazione il fatto che l'oggetto è in grado di generare corrente se riempito di acqua acidulata.
Downs D. Meyerhoff A.: Smith College Museum of Ancient Inventions: Baghdad Battery.
Eggert G.: "The enigmatic 'Battery of Baghdad'", Skeptic Enquirer, 20(3), 31 (1996)
Krystek L.: The UnMuseum - The Baghdad Battery (1998)
Garlaschelli L.: "L'enigmatica batteria di Baghdad", Scienza e Paranormale, 22, 30 (1998).
Kolosimo P.: "Astronavi nella preistoria", (Sugar s.d., 1971) p. 320.
Paszthory E.: "Electricity generators or Magic? The analysis of an unusual group of findings in Mesopotamia", MASCA Reseach papers in Science and Archaeology, 6, 31 (1989)
Ramsey D.J.: Ancient Electricity (1997). Inserisce la "pila" nel contesto generale di misteriose conoscenze perdute, lampade a scarica elettrica egizie, ed altra "archeologia alternativa".
Von Däniken E.: "Chariots of the Gods", (New York, Bantham Books, 1968, ristampa 1999).
[Modificato da (richard) 10/05/2012 13:41]

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