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I Romani e la Macchina Vapore

Ultimo Aggiornamento: 16/04/2011 16:27
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L'invenzione della macchina a vapore fu probabilmente, con la stampa a caratteri mobili, la più grande conquista tecnica del II millenio d.C. Essa fu alla base della successiva rivoluzione industriale che cambiò il mondo e su cui si poggia la società moderna. La sua invenzione fu un evento che avvenne solo nel XVII secolo e non ci sono precisi studi in merito nel medievo nè bizantino nè arabo. Neppure la civiltà cinese, la più avanzata tecnicamente, riuscì a proporre qualche dispositivo in questo senso.


Tuttavia alcuni ingegneri dell'ellenismo e anche alcuni autori romani erano consapevoli della capacità del vapore di esercitare una pressione e quindi una forza fino al punto che alcuni di loro proposero macchine o dispositivi che funzionavano sfruttandone l'energia. Soprattutto gli ingegneri imperiali dovevano avere una notevole familiarità col vapore dato che progettavano gli impianti delle terme e lo usavano nel riscaldamento centralizzato a pannelli, sistema noto come ipocausto.


Queste conoscenze erano tali che alcuni storici si sono posti l'intrigante domanda perchè i Romani non inventarono la macchina a vapore e perchè fu invece necessario attendere l'epoca moderna.


I Romani infatti avevano ereditato dalla civiltà ellenistica, e poi perfezionato, una straordinaria e complessa macchina inventata da Ctesibio: la pompa a stantuffo. Nelle miniere dell'impero e in anche varie residenze sono stati trovati alcuni resti ben conservati di pompe di questo genere, realizzati in bronzo. Essi in generale avevano una funzione antincendio ma anche di sollevamento dell'acqua nelle miniere.


La più famosa infatti, quella di Huelva Valverde, è stata trovata proprio in una miniera della Spagna.


Queste macchine idrauliche durante l'impero romano avevano raggiunto prestazione eccezionali. Si è scritto di getti di acqua fino a 20-25 m. e pressioni interne di 10 atmosfere!!!


L'ingegner dell'esercito Flavio Russo, cultore di archeologia tecnica, ha fatto notare la complessità di queste pompe, realizzate con l'eccezionale tolleranza di 0,1 mm. e composte di stantuffi, valvole, guarnizioni di tenuta, cilindri. (Mancava solo il cinematismo biella-manovella che evidentemente ancora non serviva).


Non solo, ma lo stesso Ctesibio propose, sembra solo sulla carta, un cannone azionato dal vapore, idea che era venuta anche ad Archimede e sempre per rimanere nel campo motoristico risulta che Erone di Alessandria avesse proposto un albero a camme mosso da un mulino a vento allo scopo di azionare dei mantici.


(L'albero a camme, è noto, è presente anche sul moderno motore a scoppio per aprire e chiudere le valvole di aspirazione e scarico e ha il compito di trasformare il moto rotatorio in rettilineo).


La manovella che fa parte del moderno albero motore invece fu inventata alla fine del primo millennio da un oscuro artigiano carolingio.


Infine lo stesso Erone è famoso per aver proposto la prima semplice turbina a vapore, nota come eolipila. Tale idea rimase però solo a livello dimostrativo.


Tutto questo dimostra inequivocabilmente che gli ingegneri Greci e Romani avevano le conoscenze tecniche e metallurgiche nonchè le idee chiare per poter realizzare una macchina a vapore, essendo questa, una pompa a stantuffo che funziona in senso inverso. Essa diventa così da macchina operatrice una macchina motrice.


Questo ragionamento, semplice per noi, ma geniale per chi lo doveva elaborare per la prima volta è lo stesso che fece il famoso Anonimo del De Rebus Bellicis del IV sec. d.C. quando propose con 11 secoli di anticipo l'idea di Leonardo da Vinci di trasfomare la ruota a pale di un mulino verticale ad acqua (inventato dai Romani) in una ruota motrice a bordo di una nave.


Per capire il motivo dei modesti risultati dei Romani nello sviluppare questa e altre macchine si è spesso citato lo schiavismo. Andrea Giardina (*) però ne ridimensiona l'influenza negativa. Gli schiavi infatti erano sempre più rari, costosi e bisognava mantenerli. Inoltre la loro produttività era molto bassa.


Per tale motivo nel tardo impero si nota un interesse crescente per le macchine in generale e soprattutto per quelle belliche ed idrauliche.


Giardina individua invece il vero problema nel "rapporto di scala". In altri termini costruire un prototipo in miniatura è facile, molto più difficile è creare una macchina in dimensioni reali tali da generare potenze elevate. Egli ritiene che gli antichi non avessero le conoscenze di base come la pressione atmosferica o il vuoto, il concetto di moto rettilineo e quello circolare.


Questo è certamente vero, tuttavia spesso, anche oggi, è la tecnica che precede la scienza, anche se può sembrare strano, e non il contrario. Prima si costruisce una macchina e poi vengono chiariti i principi su cui funziona. Gli studi successivi servono più a perfezionarla che a inventarla.


La pompa a stantuffo inventata da Ctesibio ad es. funzionava benissimo e fu perfezionata dai Romani senza conoscere i concetti di prevalenza e di portata, senza fare calcoli matematici complessi e senza disegni. Allo stesso modo le balliste romane venivano costruite senza conoscere i metodi di calcolo della forza elastica a torsione nè si conoscevano le leggi della cinematica per calcolare la gittata, ma funzionavano benissimo ugualmente! Lo stesso dicasi degli anfiteatri romani che erano costruiti senza avere metodi di calcolo di scienza delle costruzioni.


Forse la risposta è molto più semplice. Probabilmente i Romani non inventarono la macchina a vapore, pur avendone la tecnologia, semplicemente perchè non avrebbero saputo che farsene. Sarebbe infatti occorsa un'occasione, un pretesto per applicarla.


A cosa sarebbe potuto infatti servire un motore del genere, pesante e ingombrante, quando esistevano già i veloci e affidabili cavalli ? Il salto qualitativo dalla propulsione navale a remi a quella a vapore è obbiettivamente troppo grande per una società del ferro.


Per di più il mondo antico presentava un'economia agraria strutturata su pochi gruppi sociali. Il capitalismo romano era fortemente concentrato sulla terra e non concepiva l'idea di reinvestire il profitto in macchine con una maggiore produttività. Come ogni società agraria era fondamentalmente conservatrice, mentre il settore mercantile non era ancora sufficientemente sviluppato come alla fine del medioevo. All'alba del XVII sec. invece la società europea è molto più articolata, la popolazione molto più numerosa e il capitalismo europeo è attivo nel settore minerario, tessile, metallurgico, finanziario. Alle sue spalle ha maturato esperienze, conoscenze e capacità affinate e accumulate con la conquista dell'America e con il perfezionamento dell'artiglieria.


Tuttavia tutto questo non spiega però il motivo del grande salto tecnologico compiuto dai greci e durato circa due secoli e il rallentamento successivo nell'Impero Romano. Come è possibile che una piccola società come quella ellenistica sia riuscita da sola a gettare le prime basi della scienza e a creare macchine da guerra complicate come la ballista a torsione per non parlare della macchina di Antikitera? Perchè questo progresso nell'Impero Romano rallentò o fu sporadico mentre ci si sarebbe aspettato un avanzamento tecnologico favorito da un mercato globalizzato e dalla pax romana?


La ragione probabilmente è da individuarsi nella scarsa attenzione delle autorità romane verso la formazione e la scuola. Nei tempi gloriosi della cultura ellenistica sovrani e condottieri greci furono eccellenti, quasi fanatici, sostenitori della cultura sia in campo umanistico che tecnico. La leggendaria biblioteca di Alessandria fu sostenuta direttamente dai re tolomei e questi furono anticipati da Filippo il Macedone. Gerone II di Siracusa chiamò al suo servizio il grande Archimede e gli diede numerosi incarichi in campo militare per difendersi dai Romani alle porte della città. Egli, che non era interessato alle teorie astratte del grande scienziato, aveva capito l'importanza della superiorità tecnica nel campo militare.


Questa strategia lungimirante non era improvvisata magari semplicemente convocando grandi scienziati a corte. Nel mondo ellenistico infatti erano attive scuole di Meccanica, sostenute dalle autorità, dove i grandi scienziati potevano non solo studiare e creare ma anche sviluppare e trasmettere una tradizione tecnica. Questo era di vitale importanza in una società ancora fondamentalmente agraria e analfabeta dove i libri non erano alla portata del cittadino comune.


E' noto infatti che esisteva una scuola di Meccanica ad Alessandria e un'altra a Siracusa. Probabilmente anche la macchina di Antikitera, il più antico computer meccanico del mondo, proveniva da una scuola analoga. Troppo sofisticate infatte erano le conoscenze per realizzarla da pensare che fosse l'opera di un artigiano geniale e solitario. (Inoltre sappiamo ben poco della biblioteca di Pergamo, la grande rivale di Alessandria, e del suo ambiente intellettuale, che aveva beneficiato del mecenatismo dei sovrani Attalidi, ma non è da escludere che anche in essa vi fosse una scuola).


Anche a Roma quando furono a disposizione capitali e sostegno politico si realizzò un progresso tecnologico, ad es. nel campo delle costruzioni e delle miniere ma questi non si indirizzarono mai verso la Meccanica. In campo militare e scientifico i Romani fecero sempre ricorso ai liberti o a scienziati stranieri. Ma questi ormai non avevano più alle spalle la formazione di una scuola.


Nel lungo periodo quindi gli ingegneri dell'impero non furono più in grado di innovare ma solo di perfezionare. Eppure l'Impero Romano aveva tali sfide da fronteggiare che il progresso tecnico era assolutamente indispensabile. Invece gli imperatori romani in primis non capirono o lo capirono troppo tardi. Tutto questo è ancora più sorprendente se si considera che nell'Impero Romano esisteva la figura dell'ingegnere militare e che gli ingegneri dirigevano anche le grandi fabbriche statali degli armamenti.


E' molto probabile invece che gli imperatori avessero come principali obbiettivi politici la conservazione e il consolidamento del loro potere personale cercando di guardarsi le spalle dagli intrighi di corte e dai generali possibili usurpatori. Senza contare i problemi che dovevano affrontare per i continui tentativi di invasione dei barbari.



Inoltre per quel che se ne sa, lo stesso sistema educativo romano non era gestito in genere dallo stato ma era in mano ai privati. I grandi retori e i filosofi spesso non erano pagati dallo stato romano ma da ricchi aristocratici o dagli studenti stessi.


I vantaggi del connubio tecnologia-politica che Archimede e Gerone avevano intuito non furono capiti. Non fu capito che eventuali scuole di Meccanica avrebbero permesso di formare ingegneri per le forze armate, mantenere e far progredire una cultura tecnica e, cosa importante, attirare i giovani di genio. Inoltre attraverso l'esercito e le scuole queste tecnologie avrebbero potuto essere trasferite al settore civile. Invece questo non accadde e la società romana, interessata solo alla retorica, alla grammatica e al diritto, finì per chiudersi in sè stessa ed entrare in crisi, circondata dai barbari e perdendosi nella superstizione.


Tuttavia nel III e IV sec. si manifestarono segnali chiari di cambiamento. La crisi dello schiavismo e la cronica scarsa disponibilità di manodopera portarono alla comparsa di numerosi mulini idraulici verticali per la macinazione del grano mentre la pressione militare dei barbari iniziò a stimolare l'interesse di alcune menti del tempo per nuove macchine da guerra. Il famoso De Rebus Bellicis, giuntoci per puro caso, o il libro di Vegezio ne sono una dimostrazione così come il fatto che l'imperatore Valentiniano, esperto di fortificazioni, amasse definirsi Inventor Armorum Novorum.


Lo stesso Flavio Giuliano per un' analoga disciplina scientifica, decise di istituire una sorta di "facoltà" di Medicina con corsi a frequenza obbligatoria ed esami finali. Egli, che era macedone di origine ed ellenico di cultura, con il suo amore per l'ellenismo e per lo stato romano aveva, FORSE, intuito la necessità di un sistema scolastico che si rifacesse alle antiche tradizioni greche. Lo storico Santo Mazzarino ipotizza addirittura che le riforme economiche di Giuliano fossero state in realtà suggerite dall'autore del De Rebus Bellicis e che questi potesse essere un suo consigliere in Gallia.



Ma ormai era troppo tardi. Giuliano fu al potere solo per 18 mesi e dopo di lui si avviò la catena di eventi politici e militari che avrebbero portato al crollo dell'Impero Romano.


Il disastro di Adrianopoli era ormai prossimo e così la fine di un'epoca.......






[Modificato da (richard) 16/04/2011 16:27]

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