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“la Sindone non è un falso”

Ultimo Aggiornamento: 15/12/2015 13:57
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02/02/2013 20:22

La Sindone è del periodo di Cristo, due studi recenti lo confermano

Sono passati 24 anni da quando il Sacro Telo fu sottoposto alle analisi del C14, una radiodatazione che fin da subito suscitò un incredibile polverone mediatico quanto dubbi e perplessità sulla genuinità dei risultati forniti. Oltre due decenni di ricerche e controverifiche hanno tentato di controbbattere gli esiti delle analisi chiamando in causa una costellazione di prove a favore dell’autenticità del Sudario. Dalla trama a spina di pesce in uso nel I° sec. a.C. fino ai pollini rinvenuti nelle maglie del Sudario, appartenenti a tipologie esistenti in quel periodo storico solo nella Palestina, tutto sembrava contraddire quelle analisi che, per quanto soggette ad un errore standard di quasi cinquant’anni, identificavano il Telo come realizzato nel medioevo in un range temporale tra il 1260 e il 1390.



Non ultime diverse verifiche dimostrarono come almeno due incendi, con un terzo ipotizzato, avessero del tutto alterato la struttura atomica del Carbonio presente nelle fibre di lino della Sindone, invalidando de facto qualsiasi datazione effettuata al C14. Non mancarono assurde teorie che volevano la reliquia come il sudario in cui Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro templare, fosse stato avvolto (Knight e Lomas, Il Secondo Messia) o come il risultato di un ‘esperimento fotografico’ (sic!) ante litteram nientemeno che di Leonardo da Vinci (Picknet e Prince, La Rivelazione dei Templari). La relatà storica era molto più semplice, per quanto incredibile fosse, quel telo costituiva realmente un sudario del periodo di Gesù e ogni elemento sembrava indicarlo. Non ultimo, la stessa analisi effettuata dall’ENEA (ne avevamo parlato qui) lo scorso dicembre attestava la realtà della reliquia collocandola nuovamente al periodo storico in esame. Arriviamo dunque ai due articoli in oggetto, in entrambi i casi controverifiche di tipo scientifico dimostrano senza ombra di dubbio la veridicità storica della Sindone, dimostrando finalmente senza più nessuna condizionale l’antichità della reliquia e comprovando soprattutto come le analisi compiute nel 1988 siano state effettuate in modo del tutto approssimativo conducendo inesorabilmente a datazioni erronee e ancor più artificiose. Non si tratta solmante di una questione di fede, per quanto la Sindone costituisca sia un oggetto religioso e di culto è anzitutto un manufatto ‘tangibile’ la cui storia può essere studiata risalendo attraverso tutti quegli elementi che ne possono collocare la sua creazione entro un periodo storico ben preciso.

Buona lettura, non mancheranno nel futuro altre ‘incursioni’ in questa affascinante tematica, consci che ancora molto può essere detto e che ancora tutto non è stato scoperto.

EnricoB




Statistica robusta e radiodatazione della Sindone

Con questo articolo intendiamo mostrare come i metodi di analisi statistica robusta possano gettare nuova luce su risultati che sono stati e sono fonte di notevoli controversie in campo scientifico. In particolare, si fa riferimento alla datazione della Sindone eseguita nel 1988 con la tecnica radiometrica del Carbonio 14. Il risultato, pubblicato ufficialmente su Nature come “conclusivo” (Damon et al. 1988), stabiliva che il telo risale, con una probabilità del 95%, a una data compresa tra il 1260 e il 1390 d. C. Prima del test molti studiosi avevano manifestato contrarietà alla sua esecuzione anche perché, in accordo con Libby, il fondatore del metodo al Carbonio 14, non si può datare un oggetto di cui non sono noti i fattori ambientali che vi possono avere influito nel passato (Libby, 1955). L’immagine sindonica non è ancora oggi spiegata: non è quindi spiegato quale fattore possa avere contribuito a formarla (Fanti, 2008). Il presente lavoro non ha come obiettivo quello di discutere l’attendibilità delle varie ipotesi formulate, ma quello di verificare se il risultato del 1988 possa effettivamente essere ritenuto “conclusivo”.

Il campione sottoposto a datazione venne suddiviso in tre parti che furono analizzate da tre laboratori ubicati rispettivamente a Oxford, Zurigo e in Arizona. Dato che non è chiaro come ed in quante parti siano stati suddivisi i pezzetti di tessuto consegnati, partiamo dai dati ufficiali pubblicati su Nature (Damon et al. 1988), che si riferiscono alla datazione, in termini di anni trascorsi dall’anno base 1950. Da tali dati risulta che il laboratorio di Oxford ha effettuato tre datazioni distinte ottenendo 730±45, 745±55, 795±65 anni; il laboratorio di Zurigo ha prodotto cinque datazioni distinte ottenendo 635±57, 639±45, 679±51, 722±56, 733±61 anni; il laboratorio di Arizona ha effettuato quattro datazioni distinte ottenendo 591±30, 606±41, 690±35, 701±33 anni.

Si parte da un modello statistico in cui la j-esima datazione effettuata dal laboratorio i può essere scritta attraverso un modello ANOVA in funzione di una media µi che dipende da i e di un disturbo, trattato secondo la legge normale, moltiplicato per un fattore vij che riflette l’incertezza della misurazione. L’obiettivo è testare se i vari µi possano essere considerati uguali. Quindi, accettare l’ipotesi nulla, ossia l’ipotesi che i µi siano uguali tra loro, significa affermare che le singole datazioni effettuate dai tre laboratori differiscono tra loro solo per effetti di natura casuale. Per verificare tale ipotesi possiamo procedere con un test di uguaglianza tra le medie:
1.assumendo che tutti i vij siano uguali ad 1;
2.utilizzando come vij i pesi originali derivanti dagli standard error delle singole misurazioni pubblicati nel paper di Damon et al. (1988) riportati sopra;
3.utilizzando pesi modificati per Arizona, tenendo presente che, in base a quanto affermano Damon et al. (1988), gli standard error pubblicati per questo laboratorio contengono solo 2 delle 3 fonti di errore.

I risultati dettagliati del test (Riani et al., 2010), qui non riportati per mancanza di spazio, mostrano che, indipendentemente dall’approccio scelto per trattare i vij, le varianze relative alle misure eseguite dai tre laboratori risultano omogenee. Al contrario, le differenze tra le medie risultano sempre significative al 5% . Nel paper di Damon et al. (1988), per rafforzare la validità dell’analisi sono stati datati dai tre laboratori altri 3 manufatti la cui provenienza e datazione era certa. I risultati dell’analisi mostrano che l’ipotesi di differenza tra le medie dei tre laboratori non può essere rifiutata tranne che in un caso dei 9 esaminati. Un ipotetico “effetto laboratorio” sembra quindi da escludersi per il tessuto sindonico perché per gli altri manufatti le differenze di datazione condotte dai tre laboratori non risultano significative.

Il passo successivo, quindi, è la ricerca di una spiegazione dell’eterogeneità delle medie per la datazione del telo sindonico. L’informazione disponibile riguarda il modo in cui il campione di tessuto prelevato è stato suddiviso tra i tre laboratori (v. Figura che segue).



Con il simbolo T è stata indicata la parte scartata, con i simboli O e Z le parti che sono state assegnate ai laboratori di Oxford e Zurigo. R è la parte di riserva, conservata per effettuare eventuali ulteriori misurazioni. Ad Arizona sono state consegnate le parti etichettate come A1 e A2 ma, per le informazioni ufficiali di cui disponiamo, non è chiaro se Arizona abbia datato entrambi i pezzetti di stoffa oppure solo la parte A1. Inoltre, non è chiaro come i diversi laboratori abbiano effettuato il taglio dei pezzi che sono stati loro consegnati. In assenza di queste informazioni abbiamo considerato i 387072 casi in cui i tagli potevano essere stati effettuati. Per arrivare a tale valore, nel caso di Arizona dobbiamo considerare i 168 casi riportati nella Figura che segue dove, per maggiore chiarezza, sono riportate le coordinate cartesiane dei baricentri delle aree considerate.



Il pannello in alto illustra le 96 possibili configurazioni che emergono assumendo che Arizona abbia datato sia A1 che A2. Il pannello in basso mostra invece come esistano solo 72 casi plausibili da considerare nel caso in cui Arizona abbia datato solo A1. L’analisi dettagliata delle 96 configurazioni analizzate per Zurigo e delle 24 per Oxford è riportata in Riani et al. (2010). Combinando insieme tutte le diverse situazioni arriviamo ad un totale di 168*24*96=387072 configurazioni. Per ognuno di questi casi abbiamo costruito un modello di regressione in cui la prima variabile esplicativa è la coordinata longitudinale (orizzontale) e la seconda variabile esplicativa è la coordinata trasversale (verticale). Chiaramente, se le 12 datazioni possono essere considerate come provenienti da un’unica grandezza più un disturbo casuale ci si può attendere che i valori del test t che riportano la significatività della coordinata longitudinale (orizzontale) e trasversale (verticale) siano approssimativamente centrati attorno al valore zero. Al contrario, il fatto che i valori del test t siano centrati attorno ad un valore significativamente diverso da zero porta a ritenere plausibile la presenza nei dati osservati di un effetto sistematico non attribuibile a fattori di natura casuale.



Il pannello in alto della figura mostra che il test t sulla significatività della coordinata trasversale è centrato attorno al valore 0,5 circa e presenta una distribuzione unimodale. Il pannello in basso, al contrario, che riporta il test t per la coordinata longitudinale, mostra una distribuzione bimodale con due picchi. Il primo a destra è centrato attorno al valore -0,6 circa, al contrario il secondo è centrato attorno al valore -2,6 (ossia ad un valore significativo della statistica t). Con nostra grande sorpresa abbiamo notato che per tutti i 387072 modelli considerati, il test t sulla coordinata longitudinale presenta sempre un valore negativo. L’analisi effettuata finora mostra quindi che, mentre la coordinata trasversale non sembra significativa, nella maggior parte dei modelli considerati sembra esserci un effetto sistematico dovuto alla coordinata longitudinale. Essendo la striscia di lino di forma rettangolare, è facile intuire che la coordinata trasversale sia poco significativa in quanto il lato minore del rettangolo è troppo piccolo per permettere di evidenziare un trend in tale direzione. Cerchiamo ora di capire quale caratteristica abbia portato ad ottenere la distribuzione bimodale per i valori del test t della coordinata longitudinale.

Le proiezioni ortogonali sul’asse longitudinale delle 387072 configurazioni precedentemente considerate generano 42081 diverse possibilità. Ad esempio, nel caso di Arizona, tali proiezioni portano solo a 52 casi qualora questo laboratorio abbia datato sia A1 che A2, oppure 31 casi qualora la datazione abbia riguardato solo A1. Per ciascuna delle 83 configurazioni possibili di Arizona ci sono poi 507 diversi modi in cui possiamo ottenere le altre configurazioni per Oxford o Zurigo.

La figura che segue mostra, per ciascuna delle 83 configurazioni di Arizona, i boxplot delle statistiche t nella regressione che considera solo la coordinata longitudinale. Ciascun boxplot è basato sulle 507 osservazioni delle configurazioni per Oxford e Zurigo. Con questo grafico, intendiamo scoprire a quali fattori può essere dovuta la distribuzione bimodale della statistica t osservata poc’anzi.



I primi 24 boxplot (che si trovano alla sinistra della linea separatrice trasversale che corrisponde alla coordinata 24.5) derivano dai casi che scaturiscono dal pannello (a) o (b) della Figura che illustra le possibili configurazioni per Arizona; i boxplot tra le linee etichettate 24.5 e 28.5 derivano dalle configurazioni del pannello (c). I boxplot tra le linee 28.5 e 52.5 si riferiscono alle configurazioni del pannello (d). I boxplot tra le linee 52.5 58.5, 58.5 59.5, 59.5 83.5 si riferiscono rispettivamente ai pannelli (e), (f) e (g). I valori sopra ciascuno dei primi 52 boxplot riportano il valore di y (radiodatazione al C14) associato alla coordinata longitudinale x=41 mm relativo al baricentro del pezzetto A2. La Figura che segue mostra invece gli istogrammi dei valori delle statistiche t divisi in funzione del valore di y per Arizona associato alla coordinata longitudinale 41.



Ad esempio, il pannello in alto della figura riporta l’istogramma dei valori della statistica t che nella figura precedente erano riportati dai boxplot in posizione 2, 4, 8, 10, 14, 16, 27, 30, 32, 36, 38, 42 e 44 ossia da tutte le configurazioni di Arizona in cui si associa alla coordinata longitudinale x=41 il valore di datazione 591.

E’ chiaro che il risultato inferenziale sull’influenza della coordinata longitudinale dipende in maniera cruciale da quale valore viene associato alla coordinata longitudinale x=41. In altri termini, le due figure precedenti mostrano in maniera chiara che per tutte le possibili configurazioni analizzate otteniamo una distribuzione della statistica t che è centrata attorno a valori negativi e significativi, tranne nei casi in cui si assuma che Arizona abbia datato anche il pezzetto di tessuto A2 (che presenta coordinata longitudinale 41) e tale analisi abbia prodotto il valore di radiodatazione 591 oppure 606.

Per analizzare se le configurazioni che contengono il punto 41-591 (ossia 41 mm, 591 anni) sono verosimili consideriamo i residui dei modelli di regressione associati. Allo scopo di evitare il problema del mascheramento (ossia della possibilità che la presenza di un outlier possa mascherarne altri), abbiamo utilizzato la tecnica robusta della forward search (Atkinson e Riani, 2000) in cui si adatta una sequenza di sottoinsiemi al modello di regressione e si analizza come variano i residui al variare dell’ampiezza del sottoinsieme.

Il pannello di sinistra della figura che segue mostra il tipico monitoraggio dei residui per uno dei modelli che presentano tra le osservazioni la coordinata (41, 591).



Il pannello di destra riporta invece i residui derivanti dall’applicazione dello stimatore robusto Least Trimmed Squares (Rousseeuw, 1984). Entrambe le rappresentazioni mostrano chiaramente che l’osservazione con coordinate 41-591 è da ritenersi anomala. Se tale osservazione viene cancellata il test t della coordinata longitudinale diventa altamente significativo. Anche l’analisi, in termini di residui, delle altre configurazioni che associano al valore 41 per Arizona uno degli altri 3 valori della datazione, evidenziano una struttura di residui con chiari valori anomali. Risulta, quindi, poco probabile che il laboratorio di Arizona abbia datato entrambi i pezzetti di tessuto che gli sono stati consegnati. L’analisi dei residui delle rimanenti 31 configurazioni per Arizona, al contrario, non mostra anomalie, in quanto le traiettorie dei residui appaiono molto stabili, indipendentemente dal modo in cui i pezzetti di stoffa sono stati tagliati all’interno dei singoli laboratori.

In conclusione: l’applicazione di tecniche statistiche robuste, combinata con la potenza di calcolo dei nuovi computer, ha consentito di analizzare quasi 400000 casi in cui i singoli pezzetti di stoffa della Sindone potevano essere stati tagliati dai 3 laboratori. Tale analisi ha mostrato che la differenza significativa esistente tra le medie delle diverse datazioni dei 3 laboratori può essere spiegata dalla presenza di un trend longitudinale.

Le configurazioni che generano una non significatività del test t per la coordinata longitudinale sono attribuibili alla situazione in cui il laboratorio di Arizona abbia datato entrambi i pezzi che gli sono stati consegnati. L’analisi robusta dei residui, tuttavia, consente di affermare che la probabilità che Arizona abbia datato anche il pezzo di sinistra (coordinata 39-43 mm) è molto bassa in quanto, se ciò fosse avvenuto, saremmo in presenza sempre di una struttura di residui con almeno un’osservazione anomala. In conclusione, le affermazioni di Damon et al. (1988) che asserivano che “the quoted errors reflect all sources of error” e che “the results provide conclusive evidence that the linen of the TS of Turin is mediaeval” devono essere riviste alla luce dell’analisi statistica robusta che è stata effettuata. In altri termini, le 12 datazioni che sono state prodotte dai 3 laboratori non possono essere considerate come provenienti da un’unica ignota grandezza ed è quindi probabile la presenza di una contaminazione ambientale nel pezzetto di stoffa analizzato che ha agito in modo non uniforme, ma in modo lineare, aggiungendo un effetto sistematico non trascurabile. Se l’effetto sistematico evidenziato dalle datazioni dei tre laboratori si trasferisse direttamente sulla Sindone per tutta la sua lunghezza si potrebbe, per una lunghezza di circa 4 metri, ipotizzare una variazione di due decine di millenni nel futuro, partendo da una data del bordo risalente al primo millennio d.C..

Per saperne di più

Atkinson A.C. and Riani M., (2000). Robust Diagnostic Regression Analysis, Springer Verlag, New York.

Damon, P. E., et al. (1989). Radiocarbon dating of the Shroud of Turin. Nature 337, 611–615.

Fanti G. (2008). La Sindone, una sfida alla scienza moderna, Aracne editrice, Roma.

Libby W. F., (1955). Radiocarbon Dating, 2nd ed., Univ. of Chicago Press, Chicago.

Riani M., Atkinson A.C., Fanti G. and Crosilla F. (2010). The 1988 Shroud of Turin 14-C dating: partially labelled regressors and the design of experiments, sottomesso a pubblicazione. Working Paper of the Department of Statistics of the London School of Economics, London.

Rousseeuw P.J. (1984). Least Median of Squares Regression, Journal of the American Statistical Association, 79, 871-880.

Gli Autori

Marco Riani, Università di Parma

Giulio Fanti, Università di Padova

Fabio Crosilla, Università di Udine

Anthony C. Atkinson, London School of Economics

Fonte – SiS Magazine, marzo 2010










Sindone e C14: esame fallito, il perché




Un lungo articolo di SIS-Magazine, la rivista specialistica degli esperti di statistica, dimostra che l’esame al C14 compiuto nel 1988 sulla Sindone non aveva valore, probabilmente a causa di una forte contaminazione.


MARCO TOSATTI


“Sis Magazine”, la rivista online della società italiana di statistica, cioè l’organo specialistico più autorevole e rappresentativo di questa branca della scienza matematica, pubblica un articolo firmato da quattro professori (Marco Riani, Università di Parma; Giulio Fanti, Università di Padova; Fabio Crosilla, Università di Udine e Anthony C. Atkinson, London School of Economics) che esamina approfonditamente i dati forniti dalla rivista “ Nature” e relativi all’esame al C14 compiuto sulla Sindone. Ne pubblichiamo, insieme all’indirizzo ( www.sis-statistica.it/magazine/spip.php?article177 ) il primo e l’ultimo paragrafo.
— “Con questo articolo intendiamo mostrare come i metodi di analisi statistica robusta possano gettare nuova luce su risultati che sono stati e sono fonte di notevoli controversie in campo scientifico. In particolare, si fa riferimento alla datazione della Sindone eseguita nel 1988 con la tecnica radiometrica del Carbonio 14. Il risultato, pubblicato ufficialmente su Nature come “conclusivo” (Damon et al. 1988), stabiliva che il telo risale, con una probabilità del 95%, a una data compresa tra il 1260 e il 1390 d. C. Prima del test molti studiosi avevano manifestato contrarietà alla sua esecuzione anche perché, in accordo con Libby, il fondatore del metodo al Carbonio 14, non si può datare un oggetto di cui non sono noti i fattori ambientali che vi possono avere influito nel passato (Libby, 1955). L’immagine sindonica non è ancora oggi spiegata: non è quindi spiegato quale fattore possa avere contribuito a formarla (Fanti, 2008). Il presente lavoro non ha come obiettivo quello di discutere l’attendibilità delle varie ipotesi formulate, ma quello di verificare se il risultato del 1988 possa effettivamente essere ritenuto “conclusivo”.
— —In conclusione, le affermazioni di Damon et al. (1988) che asserivano che “quoted errors reflect all sources of error” e che “the results provide conclusive evidence that the linen of the TS of Turin is mediaeval” devono essere riviste alla luce dell’analisi statistica robusta che è stata effettuata. In altri termini, le 12 datazioni che sono state prodotte dai 3 laboratori non possono essere considerate come provenienti da un’unica ignota grandezza ed è quindi probabile la presenza di una contaminazione ambientale nel pezzetto di stoffa analizzato che ha agito in modo non uniforme, ma in modo lineare, aggiungendo un effetto sistematico non trascurabile. Se l’effetto sistematico evidenziato dalle datazioni dei tre laboratori si trasferisse direttamente sulla Sindone per tutta la sua lunghezza si potrebbe, per una lunghezza di circa 4 metri, ipotizzare una variazione di due decine di millenni nel futuro, partendo da una data del bordo risalente al primo millennio d.C..—
L’esame dei quattro professori fa seguito all’analisi compiuta da due docenti di Statistica dell’Università La Sapienza, Livia De Giovanni e Pierluigi Conti, che hanno evidenziato, sulla base dei dati forniti da “Nature) (gli unici disponibili, perché i tre laboratori – Tucson, Zurigo e Oxford non hanno mai, nonostante le ripetute richieste, fornito i “dati grezzi” dei loro esami al committente e alla comunità scientifica, per le verifiche necessarie) un errore di calcolo che portava a considerare non attendibile il risultato ottenuto. L’errore di calcolo aveva permesso ai laboratori di affermare che avevano raggiunto il 5 per cento (la soglia minima) per considerare i risultati significativi. Conti e De Giovanni hanno dimostrato (l’analisi completa è nel libro “Inchiesta sulla Sindone, Piemme) che in realtà il test ha raggiunto al massimo l’uno per cento. E di conseguenza l’esame avrebbe dovuto essere rifatto. E non avrebbe potuto essere dichiarato come riuscito.


Fonte – La Stampa, 11 Aprile 2010


www.enricobaccarini.com/?p=5581

ELIMINATO L'IMPOSSIBILE,CIO' CHE RESTA,PER IMPROBABILE CHE SIA,DEVE ESSERE LA VERITA'!

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