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La piramide di luce di La Mana

Ultimo Aggiornamento: 11/08/2012 16:32
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11/08/2012 16:32

di Klaus Dona e Reinhard Habeck
Straordinari oggetti sono stati ritrovati nella giungla dell’Ecuador, in una località chiamata La Mana. Una collezione del tutto inspiegabile, ricca di simbologie esoteriche, che richiama a un passato dimenticato e alla scomparsa terra di Mu.

Storici e scienziati fanno il possibile per esplorare il nostro passato nel modo più esauriente possibile. Eppure gli studiosi hanno a che fare sempre più spesso con ambiti di ricerca che, come prima, sono avvolti dall’oscurità e non ci danno pace. È il caso della collezione più straordinaria del mondo: i misteriosi oggetti di pietra provenienti da La Mana, antica città dell’oro situata in mezzo alla giungla dell’Ecuador.
Il caso ha voluto che questi pezzi richiamassero la mia attenzione nel gennaio del 2000, nel corso dei febbrili preparativi per la grande mostra Unsolved Mysteries. Tutto cominciò con la telefonata di un amico, l’ex ballerino solista della Wiener Staatsoper e oggi noto regista Herbert Nietsch. Egli mi chiese se era possibile incontrarci. Si trattava del suo fratellastro, il dottor Valentin Hampejs.
Quando ci vedemmo, mi chiese di sostenere un suo ambizioso progetto: la realizzazione di un documentario televisivo sul dottor Hampejs. Questi è un triplice dottore (in medicina, neurologo e psichiatra), che vive in Ecuador da oltre 20 anni. Non solo ha studiato approfonditamente lo sciamanismo ecuadoriano, ma nel frattempo ne è diventato il maggiore esperto, ed egli stesso esercita con successo l’attività di sciamano e di medico naturalista. Osservando attentamente alcune foto ne notai una che riproduceva strani oggetti di pietra. Domandai di cosa si trattasse. Herbert Nietsch mi raccontò che suo fratello aveva un conoscente in Ecuador, il quale, cercando l’oro, aveva riportato alla luce misteriosi oggetti di questo tipo. Udito ciò mi dissi: “devo vedere questa collezione con i miei occhi! E al più presto!”. Volevo procurarmi quei pezzi per esporli nella mia mostra e renderli noti ad un vasto pubblico.
È stato il primo di diversi viaggi di ricerca in Sudamerica. Partii nel febbraio del 2000. Mi accompagnarono l’amico Reinhard Habeck (collaboratore nelle ricerche e catalogatore della mostra Unsolved Mysteries), il dottor Willibald Katzinger (direttore del Museo Nordico di Linz e coordinatore scientifico della nostra mostra) e il saggista e ingegnere civile Hans Joachim Zillmer.



La piramide e l’occhio
A Quito, capitale dell’Ecuador, fummo subito ricevuti dal dottor Hampejs, insieme al quale raggiungemmo un piccolo luogo fuori città. Nessuno, in quei dintorni, sospetterebbe l’esistenza di inusuali tesori provenienti da epoche nascoste. Qui incontrammo per la prima volta German Villamar, imprenditore agricolo e coordinatore di seminari, probabilmente il possessore dei pezzi più insoliti del mondo.
Quando questi ci condusse nel suo soggiorno, manifestammo uno stupore incontenibile. Su un tavolo erano stati disposti circa 50 oggetti in pietra e in terracotta: pietre di diversa lunghezza, dalle fattezze bizzarre e con singolari deformazioni, teste di serpente in pietra, piatti con strane incisioni e spirali, sculture di argilla dalle anomale caratteristiche e molto altro ancora.
Un oggetto in particolare ci aveva affascinato e colpito più di tutti: una piramide in pietra sulla quale è stato incastonato un occhio e dove sono stati incisi 13 gradini. Ad uno sguardo più attento si è capito che l’occhio è stato lavorato con la pietra e incastonato nell’oggetto piramidale. Il suo colore è grigio, come la piramide stessa. Riconoscemmo subito quest’antichissima simbologia. La troviamo descritta in diverse tradizioni, ad esempio nella Bibbia, nonché connessa alla Corporazione del Serpente, una società segreta esistente in oriente da tempi remoti. Più tardi questa simbologia si ritrova nelle logge massoniche, nel simbolismo alchemico e nelle società segrete degli Illuminati. Come ulteriore conferma, German Villamar tirò fuori una banconota da un dollaro, sulla quale si trova raffigurato quello stesso simbolo. Di questa simbologia della piramide si è già parlato da secoli. Sono state esposte diverse teorie, discusse in modo controverso.
La cosa diventava sempre più avvincente: dopo aver visionato tutti gli oggetti che si trovavano sul tavolo, German Villamar ci condusse in una buia stanza attigua. Pose la piramide su un tavolo e accese una lampada a raggi infrarossi. In quel momento ammutolimmo tutti. L’occhio della piramide emanava luce come un vero occhio divino, e i gradini apparivano come incisioni azzurrognole. L’immagine offriva una visione quasi spettrale! Questa piramide di pietra era realmente qualcosa di particolare.
Dopo questa presentazione appassionante, esaminammo l’oggetto molto attentamente e notammo qualcosa di sorprendente: ai piedi della piramide si potevano riconoscere dei piccoli intarsi dorati, raffiguranti la costellazione di Orione. Sopra vi erano state apposte incisioni, inizialmente caratteri indecifrabili. Solo mesi più tardi venimmo a conoscenza del contenuto di questi segni. Secondo una traduzione fatta dal professor Kurt Schildmann, presidente della Società Linguistica Tedesca, quel testo criptico significherebbe: “Il figlio del creatore è in viaggio”.
Dalla visione della maggior parte degli artefatti si è potuto notare che essi non hanno alcuna relazione con l’esistente cultura precolombiana. Sono falsificazioni moderne? Ma chi sarebbe stato capace di produrre un simile oggetto? E per quale motivo? Come sono giunti in Ecuador questi strani pezzi? Chi li ha realizzati, quando e a quale scopo?

La mappa di pietra
La chiave di tutto potrebbe trovarsi nel luogo di ritrovamento, La Mana. Un luogo situato nelle colline ecuadoriane, in mezzo a una giungla sperduta, dove negli anni ‘80 sono stati compiuti sfruttamenti auriferi con mezzi meccanici. L’ingegner Sotomayor, che allora ha condotto la ricerca, ha scoperto una piccola grotta situata a 10 metri di profondità, dove si trovavano diversi contenitori di ceramica. In essi erano stati riposti e conservati gli artefatti. Da quale periodo provengano e chi sia stato a depositarli lì dentro, proteggendoli da accessi abusivi, non è ancora noto. In ogni caso quel luogo possiede caratteristiche misteriose già da tempi remoti. Sul luogo di ritrovamento vi è una sorgente che presenta una particolarità: la presenza nell’acqua di oro organico e potabile! Gli idrologi considerano l’acqua di questa fonte come la più ricca di energia in assoluto. D’altra parte, ciò ricorda i testi tradotti dalle tavole di argilla sumere, dove ricorre più volte l’espressione secondo la quale gli dei un tempo cercavano l’acqua ricca di oro. Il mistero permane. Questo vale anche per un altro ritrovamento eccezionale effettuato a La Mana: la cosiddetta carta geografica in pietra.
Su questa lastra di pietra, alta 60 cm, larga 40 cm e profonda 30 cm, è stata incisa la mappa del mondo, dal tropico del sud fino a quello del nord. Oltre ai noti continenti del Nord e Sudamerica, l’Europa, parte dell’Africa e dell’Asia, si trovano anche i profili di tre continenti oggi sconosciuti: la leggendaria Atlantide nell’Oceano Atlantico, Mu e presumibilmente Lemuria nell’Oceano Pacifico.



Questa sorprendente lastra potrebbe riaccendere il dibattito su Atlantide e Mu. A tal proposito, le recenti ricerche e scoperte del geologo professor Masaaki Kimura, offrono spunti sufficienti. Lo scienziato ha esaminato tavole di pietra ritrovate nelle isole Ryukyu contenenti antiche iscrizioni, e studiato i monumentali edifici in pietra che si trovano nelle acque dell’isola di Yonaguni, a 25 metri di profondità. Secondo gli studi condotti da Kimura, dal nord del Giappone fino a sud di Taiwan dev’esserci stato un continente, sprofondato in seguito a catastrofi climatiche e al conseguente innalzamento del livello del mare. Su questa ipotesi forniscono indizi le iscrizioni e i simboli millenari trovati sulle lastre di pietra di Ryukyu. In essi si parla di un regno costituito oggi da isole sommerse: indubbiamente la leggendaria terra di Mu.
Il professor Kimura ha realizzato un’altra scoperta interessante: i caratteri sulle tavole di pietra ritrovate nelle isole Ryukyu, somigliano a quelli descritti dall’eccentrico colonnello britannico James Churchward nel suo libro The lost continent of Mu, pubblicato nel 1926. Anche in questi si riconoscono affinità con i caratteri incisi su ogni pietra a forma piramidale di La Mana. Un puro caso?
Su ciascuna piramide si trova raffigurato un occhio e sotto si trovano incisi molti simboli e spirali. Potrebbe esserci una profonda connessione tra tutti questi riferimenti. Senza dubbio sarebbe sensazionale, ma per me non impossibile, se dovesse risultare una relazione tra queste pietre, il continente sommerso di Mu e gli oggetti trovati nelle isole Ryukyu.
Torniamo alla “carta geografica di pietra” di La Mana. I profili del continente sommerso di MU si riconoscono chiaramente. Le ricerche compiute finora fanno pensare ad una datazione molto remota di questa pietra. La domanda è: chi è stato a realizzare, molte migliaia di anni fa, questa “mappa geografica di pietra”, e soprattutto chi, a quell’epoca, poteva conoscere la struttura della terra così bene da poter incidere una mappa che sembra essere stata frutto di osservazioni dall’alto? Può, questa lastra, essere considerata una prova del fatto che i regni di Atlantide, Mu e Lemuria siano effettivamente esistiti? Per ottenere maggiore chiarezza saranno necessarie ulteriori ricerche.
Un ulteriore dettaglio potrebbe essere importante: sulla pietra sono stati effettuati due intarsi simili a un occhio: uno nella regione della ex Babilonia, l’altro nel luogo di ritrovamento in Ecuador. Tra i due punti vi è una linea di congiunzione bianca. Per gli artefici della “carta geografica di pietra”, ciò sembra aver rivestito una particolare importanza.



Ma quali conclusioni si possono definire? Esiste un antico legame culturale tra i sumeri e l’attuale luogo di ritrovamento in Ecuador? Molti pezzi museali, conservati nel Sud e nel Nordamerica e da me stesso attentamente esaminati, testimoniano che già da lungo tempo vi sono stati contatti globali tra le popolazioni primitive del Vecchio e del Nuovo mondo.

Reperti astronomici
Tra i pezzi della collezione di Villamar vi sono altri tre oggetti, i quali racchiudono una mistica nascosta. Il primo è una pietra nera sulla quale viene mostrato come si regge la piramide con l’occhio incastonato, probabilmente in una sorta di rituale. L’altro è una pietra sulla quale sono osservabili incisioni inusuali: un uomo siede su un piedistallo e regge la piramide nelle sue mani. Sulla testa porta una sorta di elmo con una specie di antenna o di foro, da interpretare come linea di congiunzione con una “barca scintillante”. Al di sopra si libra un oggetto raggiato oppure un occhio senza iride né pupilla. Dagli occhi della persona rappresentata si diramano linee verso due uomini inginocchiati. È interessante notare che tra gli oggetti ritrovati vi sia anche un elmo rotondo realizzato con una lega d’oro, sulla cui parte superiore un pezzo è mancante. Una fessura intenzionale, che corrisponde esattamente alla scena raffigurata sulla pietra. Ci fu poi mostrata una serie di oggetti che ha relazioni evidenti con concetti mistici occidentali. Si trattava di una grande coppa in giadeite con alcuni punti sulla sua superficie. Tali inserti, come altri pezzi La Mana risultano fosforescenti e agli ultravioletti formano delle costellazioni brillanti sullo sfondo blu del bicchiere. Sono riconoscibili Orione, con Betelgeuse in evidenza, e le Pleiadi, oltre ad altri asterismi che un esperto del Buenos Aires Astronomical Institute ha definito ben rappresentati il cielo visto dal Sudamerica. Tale coppa è accompagnata da altre dodici coppette più piccole, tutte di dimensioni differenti. Si è calcolato che unendo ipoteticamente tutte le coppe più piccole in un unico oggetto si otterrebbe una coppa della dimensione di quella principale. Sui bicchieri sono presenti anche dei segni simili ai numerali maya. E’ evidente che le dodici coppette con la tredicesima siano un richiamo alle leggende del Graal, dei dodici apostoli e del Cristo. La domanda è: cosa ci fa in Ecuador, assieme a una piramide massonica, un altro simbolo immortale legato all’esoterismo cristiano? Le domande aumentano se si pensa che della collezione fanno parte altri oggetti similari, a connotazione astronomica, come due “osservatori” posti su una base di giadeite, anch’essa dotata di costellazioni. Oppure una splendida testa di cobra.
Molti sanno del legame tra il cobra e la divinità per gli antichi egizi, per gli induisti, ma questa testa è caratterizzata nella parte inferiore da una decorazione fosforescente a 7 punti per lato e 33 strisce. Tali numeri fanno diretto riferimento all’energia Kundalini e al sistema dei sette chakra posti lungo le 33 vertebre della spina dorsale umana; energia rappresentata proprio da un cobra con cappuccio aperto. Soprattutto ci ha colpito la presenza di una roccia, sulla cui parte anteriore sembrava essere “incastonato” un viso di uomo barbuto dai capelli lunghi mentre sulla parte posteriore una sorta di spirale racchiudeva un triangolo al cui centro vi era un’inserzione verde, proprio in corrispondenza del “terzo occhio” dell’individuo raffigurato.



Un permesso inaspettato
Dopo aver esaminato tutti quegli oggetti singolari, con entusiasmo scegliemmo gli oggetti più interessanti da prendere in considerazione per la mostra, e discutemmo le condizioni di prestito con German Villamar. Alla fine del colloquio seguì qualcosa di inaspettato. Egli ci spiegò che dovevamo era necessario chiedere il permesso alle guide indios del luogo (i successori autoctoni degli incas), essendoci pietre considerate magiche tra i reperti. La sera seguente ci incontrammo così nuovamente a casa di German. Era presente anche Luis Viracocha, un uomo molto carismatico che tra gli indios è una personalità di rilievo. La sua è una famiglia di artisti che esegue da molte generazioni sculture tradizionali in pietra con motivi inca. La sua prima reazione alla nostra richiesta di prestito fu un categorico “no!”. Ci spiegò energicamente che era fuori discussione che quegli oggetti lasciassero quel luogo. Dopo un’ora di conversazione, Luis prese in mano un piccolo piatto di pietra, di giadeite verde-scura, dove erano stati intarsiati un cerchio blu, e una spirale arancione. Con un piccolo magnete che pendeva a un filo, fu poi fatto un esperimento. Luis diede al dottor Hampejs il filo con il magnete e gli disse: “Mantieni il pendolo col magnete sul centro della spirale”. Detto fatto. Dopo alcuni secondi il magnete cominciò a girare descrivendo un cerchio dall’interno verso l’esterno. Una volta toccato il bordo del piatto, ruotò per un po’ di tempo senza fermarsi, a velocità costante. Il test fu ripetuto con successo anche da Reinhard Habeck e dal dottor Joachim Zillmer. Infine venne il mio turno. Restai sorpreso e un po’ deluso: il magnete non si era mosso di un millimetro. Ritentai più volte, ma non accadde nulla. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, mi misi a ridere e rinunciai. Lanciai a Luis uno sguardo interrogativo: volevo sapere perché con me non aveva funzionato. Assunse un’espressione molto seria e invitò il dottor Hampejs, Reinhard Habeck e il dottor Zimmer a compiere nuovamente la stessa procedura.Di nuovo la cosa funzionò con tutti e tre. Infine, ritentai io. Ma come prima, il magnete restava del tutto immobile. Provai addirittura a stimolare intenzionalmente il pendolo, ma senza successo. Dopo alcuni minuti mi arresi, e mi chiesi stupito cosa fosse successo.Luis andò da German e gli comunicò con un’espressione seria: “German, a quest’uomo puoi mettere a disposizione la pietra per la sua mostra!”. In seguito al rifiuto iniziale di Luis, eravamo molto abbattuti, ora la nostra gioia fu davvero grande. Domandai a Luis: “Che conclusioni devo trarre dal fatto che il pendolo nelle mie mani non si muoveva? Questa cosa ha un significato particolare?”.Luis, infine, mi sorrise e disse: “Vedila come un segno! Un buon segno!”. Fino ad oggi, non so ancora quale significato abbia avuto questo esperimento. La buona fede di questa gente semplice è, comunque, confermata dal fatto che non hanno mai fatto nulla per rendere noti questi oggetti, custodendoli gelosamente come testimonianze sacre dei loro antenati. Si tratta di persone molto legate alla loro tradizione sciamanica. Sono stato fortunato. Il giorno dopo la nostra squadra di quattro persone prese l’aereo e partì fiduciosa alla volta di Cuenca. Anche lì ci fu data la possibilità di accedere a collezioni straordinarie date per disperse. Ma questa è un’altra storia. •

(traduzione dal tedesco di Marco Di serio)


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